L’attrattività nasce anche dal fatto che il prodotto “made in Ethiopia” beneficia di agevolazioni per l’accesso al mercato UE (iniziativa “Everything but Arms”, che prevede per un gruppo di Paesi meno sviluppati l’accesso libero da dazi e quote al mercato comune) e quello USA (“African Growth and Opportunity Act”, che prevede rilevanti facilitazioni commerciali per l’accesso al mercato statunitense. L’ultimo “AGOA Forum” ha avuto luogo proprio ad Addis Abeba, nel luglio 2013). Inoltre – novità da tempo attesa dai Paesi vicini, su tutti il Kenya – l’Etiopia ha annunciato pochi giorni orsono che entro la fine del 2014 entrera’ a far parte dell’area di libero scambio del “Mercato comune dell’Africa orientale e australe” (COMESA). Analogo annuncio è stato fatto da Uganda e DRC. Se confermata nei fatti, questa iniziativa permetterà ai prodotti etiopici di accedere liberamente a un vasto mercato che va dall’Egitto allo Zimbabwe.
E’ in questo quadro che si possono leggere le recenti manifestazioni di attenzione dedicate all’Etiopia da parte di alcuni grandi gruppi internazionali. Si forniscono di seguito alcuni esempi:
– UNILEVER: la multinazionale anglo-olandese ha annunciato che avvierà la produzione di beni alimentari e per la casa in Etiopia entro la fine del 2014. Unilever intenderebbe pianificare una strategia a lungo termine nel Paese – nelle parole del Direttore Africa del gruppo – “anche per la possibilità di creare un modello aziendale davvero sostenibile e inclusivo”.
– H&M: in una recente presentazione ospitata dalla Delegazione UE, la Responsabile Etiopia del Gruppo svedese ha spiegato che l’idea di esternalizzare parte della produzione in Africa nasce dall’esigenza di diversificare rispetto all’attuale sistema di approvvigionamento, basato in gran parte sull’Asia. Dopo visite in più di 20 Paesi africani e’ stata creata una shortlist di possibili Paesi target, composta da Etiopia, Kenya e Tanzania, e l’Etiopia è stata messa al primo posto. Le ragioni di questa scelta vanno ricercate, secondo la rappresentante H&M, in tre fattori: l’alta priorità che il Governo attribuisce allo sviluppo del settore tessile, la grande produzione interna di cotone, la presenza di una larga fetta di popolazione giovane e relativamente ben istruita, una manodopera da poter impiegare a costi particolarmente contenuti. Il Gruppo ha aperto un Ufficio ad Addis Abeba nel maggio 2013 e prevede un impegno nel Paese di lungo periodo. Per ora sta implementando programmi di capacity building a favore di aziende tessili attive nel Paese. E’ prevista per i prossimi mesi l’avvio della produzione in outsourcing.
– TESCO: similmente ad H&M, anche l’azienda britannica di abbigliamento Tesco ha aperto un un ufficio ad Addis Abeba nel 2013 e ha avviato la produzione in outsourcing, per ora limitata a 20.000 capi (ma altri 80.000 sarebbero già stati ordinati). Entro il 2014/2015 il gruppo conta di acquistare dai 2 ai 3 milioni di Euro di prodotti, per arrivare a 15 milioni di Euro nel 2016/7. Poche settimane fa, rappresentanti di TESCO si sono recati ad Addis Abeba per incontrare il Governo etiopico (Ministro dell’Industria e altri), i locali funzionari dell’ILO e i sindacati per esprimere preoccupazione per le condizioni di lavoro esistenti nel Paese. Tale intervento sembra nascere dalle forte critiche mosse dall’opinione pubblica britannica contro la pratica di produrre in outsourcing in Paesi dove i diritti del lavoro non sono pienamente rispettati.
-BDO: la quinta azienda del mondo di auditing e accounting ha aperto un ufficio ad Addis Abeba, in partnership con una consultancy locale, al fine di fornire servizi di qualità ai potenziali investitori e aiutare le banche locali a rafforzarsi e aumentare la propria competitività in vista di una possibile, futura apertura del settore finanziario agli operatori stranieri. La presenza della BDO in Etiopia si va ad aggiungere a quella di altri importanti gruppi del settore quali Ernst & Young, Deloitte, Grant Thornton e McKinsey.